"Mors In Fabula"
Arca degli Esposti - PALERMO
gennaio e febbraio 2020
Una mostra/teatro per mettere in scena la morte, attraverso opere rappresentative delle varie declinazioni del tema: dalle ironiche mummie di Cesare Inzerillo, ai collage pop-surreali di Francesco Viscuso; dai dipinti macabro/fiabeschi di Sergio Padovani, alle illustrazioni di Stefano Bessoni.
C'è una qualità dell'espressione, una particolare luce negli occhi, che accomuna i personaggi delineati dalla matita di Stefano Bessoni. Hanno sovente il medesimo modo stralunato di fissare dritti verso il lettore, quasi fossero in posa di fronte a una ottocentesca macchina fotografica. Certo, si tratta di uno sguardo dalle molteplici sfumature a seconda che il personaggio sia comico, malinconico, grottesco; ma in tutti vi è la stessa scintilla – il fuoco sacro di chi ha sposato senza riserve la propria follia, facendone la linfa dei suoi giorni, trasformandola in pulsione creativa.
Non possono fare altro che inseguire la loro infatuazione: questo ineluttabile marchio del destino che l'illustratore e regista romano imprime alle sue creature – l'essere posseduti, ossessionati ma anche tenuti in vita dallo stupore – è l'elemento forse più autobiografico di una produzione che già ampiamente riflette i multiformi interessi personali dell'autore. L'occhio sempre proiettato verso un'ostinata ricognizione è quello del cantore della meraviglia che da tre decadi arricchisce,operando instancabilmente a cavallo tra illustrazione, letteratura e cinema, la sua wunderkammer ideale.
Per quanto riguarda l'opera filmica di Bessoni, il fiabesco le è così intimamente connaturato che la sua carriera comincia proprio con un cortometraggio intitolato Favole (1991); dello stesso anno La favola del bambino mai nato, concettualmente illuminante dato che la “fiaba” in questione è già una meditazione sulla morte: l'autore dà voce ai feti conservati sotto formalina in un vecchio museo anatomico, immaginando le conversazioni sussurrate che essi intrattengono tra di loro all'insaputa dei vivi. Bessoni continuerà in seguito a esplorare il patrimonio favolistico confrontandosi con alcuni giganti del genere: i Grimm, Collodi, fino alle macabre filastrocche “patibolari” di Morgenstern. Oltre ai corti, di echi carrolliani sono disseminati anche i suoi lungometraggi (Frammenti di scienze inesatte, 2005; Imago Mortis, 2008; Krokodyle, 2010).
Ma è soprattutto nella produzione editoriale (i numerosi libri illustrati) che risultano più evidenti l'approfondimento storico che Bessoni dedica alle fiabe e le ibridazioni, mai arbitrarie, a cui le sottopone. Per spiegare il suo procedimento, prendiamo a esempio il Pinocchio del 2014. Non soltanto il celebre burattino viene rappresentato come una bambola anatomica, una di quelle figurine mediche settecentesche in avorio dagli organi interni smontabili; non soltanto è reso scheletrico e nodoso così da ricordare quella radice di mandragola (vegetale animato, come Pinocchio stesso) che in Bessoni è un altro personaggio ricorrente; ma soprattutto la sua testa è ridotta a una sorta di teschio frenologico, con tanto di aree tratteggiate sulla volta cranica. Si tratta in realtà di un antieroe, di una piccola canaglia che il coevo Cesare Lombroso avrebbe senz'altro inserito nei perfetti esempi di criminale atavico.
Allo stesso modo, il Bruco col narghilè di Alice Sotto Terra (2012) si trasfigura in uno psiconauta oppiomane e dedito all'assenzio, così come l'intero Paese delle Meraviglie diventa un paese di mirabilia; in Oz (2016) l'uomo di latta alla ricerca di un cuore è un novello automa organicomeccanico simile agli antesignani settecenteschi, su cui già si scriveva che avrebbero presto sostituito l'uomo. E, ancora, l'homunculus in vaso (Theo, 2019) viene associato ad altri esseri analogamente generati con procedimenti non naturali (i golem d'argilla risvegliati dalla parola emet), e porta impressa in fronte una spirale che ricorda da vicino la gidouille campeggiante sull'enorme ventre del Re Ubu, associando così in maniera irriverente l'Alchimia alla Patafisica di Jarry.
Conscio che le favole, benché indirizzate ai più piccoli, parlano il linguaggio del mito, anche Bessoni ricerca una dimensione di infanzia senza tempo. Nei suoi lavori tutti gli adulti sono dei senex puerilis, vecchi dall'animo di fanciulli, e di contro tutti i bambini sono puer senilis, ragazzini dalla sensibilità e dagli interessi particolarmente maturi (gli unici balocchi con cui li vedremo giocare sono quelli anatomici!). Così come gli abitanti che popolano questo universo non hanno età, è l'universo stesso a essere acronico, un'epoca sospesa in cui realtà diverse, vere o inventate, si confondono; vi si praticano pseudoscienze dimenticate da secoli, si collezionano preparati anatomici, si generano omuncoli e chimere, si cacciano calamari giganti proprio mentre flotte di zeppelin solcano i cieli.
Se c'è un insegnamento nascosto al cuore del mondo poetico di Bessoni, è che non serve rifuggire dai propri timori, né cercare di esorcizzarli: la migliore strategia è trasmutare ciò che ci angoscia in oggetto di meraviglia infinita – studiarlo, scoprirne gli aspetti curiosi, dedicargli tempo e cura, elaborarlo. È un'autentica opera alchemica di raffinamento, in cui l'ombra viene portata alla luce, in cui al macabro viene riconosciuta una sublime bellezza. L'autore, con le sue fiabe nere, ci suggerisce che ossessioni e paure sono in fondo la nostra parte più genuina, e ci esorta ad abbracciarle, con amore.
La cifra più autentica di Bessoni risiede proprio in quest'ultima parola, che nel cinismo dilagante si esita ormai a pronunciare. È l'amore per la ricerca che evita all'artista il pericolo di una sofisticazione o di una “maniera”. È l'amore per la fantasia che permette alla pagina di colmarsi di visioni oniriche di rara intensità, popolate da fameliche wunderkammer, catturatori di falene, anatomisti pazzi, taverne costruite all’interno di capodogli spiaggiati, botteghe di zoologia apocrifa, ventriloqui, spettri. Infine, è l'amore per un cosmo mai avaro di sorprese che permette a Bessoni di mantenere quello sguardo stralunato che hanno tutti i suoi personaggi, lo sguardo di un bambino che ancora sa cedere all'incanto.
Ivan Cenzi