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Peter Greenaway

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Sono tanti anni che vorrei fare un mio personale libro illustrato su Peter Greenaway. Ma lui sostiene che bisogna fidarsi dell'opera e non dell'autore... E anche che il cinema narrativo é mera illustrazione del reale... I dubbi sono tanti, ma forse un giorno o l'altro prenderò il coraggio di farlo. E intanto studio, disegno, rileggo i testi fondamentali già scritti e rivedo ancora una volta i suoi film...

In un freddo pomeriggio sul finire degli anni Ottanta venni trascinato al cinema dai miei amici. La combriccola era composta da un oscuro incisore che intendeva prendere alla lettera l’eredità rembrandtiana, un emulo di Duchamp, che di lì a breve avrebbe perso il senno inseguendo le sue ardite teorie, un entomologo fissato con le falene notturne, in particolare con la sfinge testa di morto e uno scacchista smilzo, alto quasi due metri, che mi ripeteva in continuazione “Come si può scambiare per scienza l’entomologia, una volgare forma di necrofilia?”.

La mia proverbiale pigrizia si faceva sentire fin dalla giovane età. Non ne volevo sentire di uscire di casa. Preferivo starmene a casa a scarabocchiare, a fingere di scrivere, a riordinare la mia collezione di coleotteri, o magari a prepararne qualche decina di esemplari, visto che all’epoca collaboravo con una ditta austriaca di articoli per entomologia, come preparatore per corrispondenza.

Non mi lasciai abbindolare dal duchampiano, che dissertava sul valore intrinseco del film scelto per la grande quantità di scene di nudo, ma, quando il lepidotterologo mi disse che il regista era anche lui un entomologo e che aveva inserito mirabolanti inquadrature di insetti, ispirate alle Vanitas fiamminghe, infilai il cappotto e mi diressi con loro al cinema, ignaro di quello che sarebbe poi successo. Ero completamente all’oscuro del fatto che quel giorno, la visione di quel film, avrebbe per sempre cambiato il corso della mia vita.

 

In quel freddo pomeriggio del 1987, in un piccolo cinema d’essai al centro di Roma, uno di quelli con le sedie di legno scricchiolanti e la moquette lercia e polverosa, tra uno sparuto gruppo di cinefili incalliti e coppie di vecchietti ignari, vidi Giochi nell’acqua (Drowining by numbers) del filmmaker inglese Peter Greenaway.

 

Fu la mia folgorazione sulla via di Damasco. Quel giorno capii che potevo riunire tutte le mie suggestioni, le mie ossessioni, le mie paturnie esistenziali, le mie sperimentazioni visive, in un contenitore che aveva la forma di un film e non solo. Presi coscienza che forse il cinema non era solamente quello dei grandi registi americani e degli spettacolari colossal hollywoodiani, ma che esisteva un folto manipolo di autori nel cuore della vecchia Europa che operava in maniera sovversiva per rivendicare quello che il capitalismo, assieme a una lesiva esigenza pop, aveva strappato con violenza a quella che sarebbe dovuta rimanere una libera forma di espressione.

 

Di una cosa sono certo, ancora oggi, non mi sbagliavo. Non mi pento delle mie scelte, ci mancherebbe, ma fu l’inizio per me di una vita grama, di un percorso disseminato di ostacoli e pieno d’incontri con personaggi biechi, buffoni, impostori, millantatori, perditempo, una corte dei miracoli tale da far impallidire la popolazione del Pinocchio di Collodi. Non mi rendevo conto, come lo stesso Greenaway ammoniva, che il cinema è morto e che io brancolavo come un morto vivente, sbavando e grugnendo sui vetri delle società di produzione, in attesa del fatidico colpo che mi avrebbe fatto saltare il cervello.

 

Oggi, a tanti anni di distanza, nel pieno di una pestilenza, sul baratro di una nuova guerra mondiale, nel delirio dilagante dei social network e della maleducazione digitale, ho deciso di scrivere e disegnare un mio personale ritratto di Peter Greenaway. Ho scelto di farlo in un momento difficile, in occasione del suo ottantesimo compleanno, in cerca ancora una volta di quel sostegno e di quelle motivazioni che ho sempre ricevuto dal suo lavoro.

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Cose che ho capito da Peter Greenaway:

 

Bisogna fidarsi dell’opera, non dell’autore.

Il cinema è morto! (Il problema è che io non lo sapevo...)

Un film è come un libro, dovrebbe essere letto tante volte.

La storia uccide la storia.

Ci sono infiniti metodi per organizzare il materiale narrativo senza ricorrere alla storia.

L'importante è catalogare.

Sperimentare, provocare, dipingere, disegnare, scrivere, filmare...

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